Se il formato verticale del video nel 2005 aveva un rimando diretto a quello delle riviste, oggi rinvia agli schermi mobili; mentre lo sfumare da un ritratto di donna a un altro fa pensare al morphing algoritmico aggiungendo un’altra riflessione a quella della bellezza stereotipata e sfruttata del corpo femminile, ossia quella dell’insidia del ‘fake’. I tessuti di cui ci adorniamo per ampliare, cambiare o sottolineare le nostre identità sembrano essere il tema specifico di questa sala, dominata da una scultura centrale, Second Nature 8 (2001-02): un paravento dipinto, sul quale è stata lasciata in maniera distratta una giacca di pelliccia, trasforma lo spettatore in voyeur a causa di fori la cui oscurità risucchia come una calamita e trasporta in un cosmo senza tempo.
Dalla profondità dell’universo si torna alla natura grazie all’installazione Plant’s Life (1999) composta dalla serie di piante in stoffa posizionate nel giardino d’inverno e il cui aspetto dimesso è accentuato da alcuni piedistalli costituiti da oggetti d’uso comune come porta riviste, sgabelli e poggiapiedi.
Verdure anamorfiche, nascite, steli preistoriche accompagnano in altre stanze, cadenzati dalla musica della prima video-animazione di Erb del 2016, The Sweet Lemon Ballad, di cui alcune immagini rimangono talmente impresse nella retina da aggiungersi poi alla selezione di trentadue sui duecento ritratti della serie “Orlando” (2013-21). Disposti uno di seguito all’altro sotto il soffitto ligneo, i ritratti guardano dall’alto invitando al riconoscimento; se ne scorge uno in stile dell’Arcimboldo, un altro alla maniera cubista e, fra tutti, il Ritratto di fanciulla (1470 circa) di Petrus Christus, inconfondibile nella sua iconicità fiamminga senza tempo. Ma Erb ha sostituito al volto della fanciulla una sfera bianca, come se invitasse a una libera proiezione in un atto, serissimo, di mascheramento come riconoscimento.
Nell’abbandono al ritmo associativo sopraggiunge una sorta di ebrezza, come quella che ha colto i protagonisti dei quattro arazzi realizzati per l’ambiente che dà verso la scalinata, angeli ubriachi dei quattro elementi naturali: Drunk Angel (Air), Drunk Angel (Water), Drunk Angel (Earth) e Drunk Angel (Fire) (2023).
Oramai barcollanti sulla scalinata, infine, si seguono le vicende di un personaggio con maschera di carnevale nel video Johnny Woodhead & The Nightmärlies (2022). E, come d’incanto, dal passato, sopraggiunge il ricordo di una riflessione sulla maschera: “ha senso coprirsi il volto solo di fronte a qualcuno che si accorga del gesto e, con la sua presenza, faccia del nostro dissenso un atto pubblico”1.